Queste parole oltre a riassumere in modo sufficientemente completo le posizioni di Giovanni Gentile sul significato e l’importanza dell’istruzione religiosa preannunciano, circa un decennio prima della sua ‘istituzionalizzazione’, il ruolo che all’interno della Riforma Scolastica del 1923 avrà questo insegnamento.
Il tema dell’insegnamento di religione nella scuola trova nella firma dei Patti Lateranensi tra Stato italiano e Chiesa cattolica nel 1929, un sicuro punto di riferimento, che integra un più antico e generale dibattito sulla laicità della scuola e sul contenuto concreto da dare a questa espressione.
Un dibattito che ha ritrovato particolare vigore dopo la revisione, nel 1984, degli accordi del ’29; revisione che proprio nel campo scolastico sembra aver portato ulteriore confusione in materia.
Vale la pena sottolineare però che, da un punto di vista più strettamente legato alla filosofia dell’educazione, la questione quì affrontata non può non trovare un irrinunciabile approfondimento nella analisi e nella discussione del pensiero filosofico-educativo di Gentile e più in generale del Neo-idealismo italiano, sullo sfondo della storia politica e culturale di questo secolo, che li ha visti, almeno nella sua prima metà, tra i protagonisti. È in quest’ottica, dunque, che il presente scritto intende offrire, anche se in maniera consapevolmente sommaria, alcune riflessioni e spunti di ulteriore indagine storico – pedagogica sull’argomento.
Volendo intanto dare alcune chiavi di lettura è bene tenere presente tre punti principali di riferimento:
1. Nella riforma Gentile l’elemento più contraddittorio, anche se inserito nell’ottica della specualazione filosofica del suo artefice, sembra essere proprio il ruolo e il peso assegnato all’educazione religiosa da un ministro che si professava difensore dello Stato laico; ma è questa difesa, in particolare, che và analizzata per farne emergere le contraddizioni e anzi la sua ‘mistificazione’;
2. Ll 1929 ed il Concordato rappresentano, al di là della loro valenza storico-politica, un momento importante per valutare gli errori e le ambiguità della politica scolastica di Gentile; ma segnano anche una svolta nei suoi rapporti con il Fascismo: proprio mentre la Chiesa sacrificava il Partito Popolare e la parte più democratica del Cattolicesimo sull’altare dell’accordo con il Regime infatti, quest’ultimo si accingeva a ripudiare la dottrina del Filosofo siciliano, con la quale era sembrato fino ad allora identificarsi;
3. Affrontare il tema della teoria educativa di Gentile e la sua concezione di scuola pubblica significa inevitabilmente, e in maniera inscindibile, chiamare in causa la sua visione dello Stato, della laicità e della libertà politica: lo stesso Gentile aveva fin dall’inizio, voluto precisare che
I PATTI LATERANENSI: UNA BREVE STORIA
Ma oltre a queste iniziali coordinate sembra giusto tracciare, anche ai fini di una contestualizzazione più ampia, un breve pro-memoria del Concordato e delle sue ripercussioni nel campo scolastico. La politica concordataria, già avviata da Benedetto XV, venne ulteriormente ricercata e promossa da Pio XI nello sforzo di far riconoscere sempre maggiori diritti alla Chiesa cattolica nella vita pubblica. Egli, a differenza del suo predecessore, aveva una concezione che si potrebbe dire intransigente, teocratica e totalitaria del cattolicesimo e dei suoi rapporti con la società civile. Gli strumenti per realizzare questo programma dovevano essere da un lato la volontà di avvicinamento allo Stato italiano e dall’altro il Movimento dell’Azione Cattolica: una visione, che per essere perfettamente parallela a quella della politica governativa di Mussolini, si poneva immediatamente in contrasto con essa. Anche nella mente del Duce infatti vi era uno Stato totalitario, grazie al quale poter respingere facilmente le eventuali aspirazioni a tendenza teocratica e le invadenze clericali. Nei disegni di Mussolini, la Conciliazione doveva risolversi in una stretta subordinazione della Chiesa ai fini dello Stato.
Nel corso del 1923, il Vaticano abbandonò di fatto il Partito Popolare per avvicinarsi al Fascismo; e proprio in quest’anno Gentile aveva portato a termine la sua riforma della scuola, caratterizzata da concessioni senza precedenti alla Chiesa cattolica, in particolare nel campo dell’istruzione religiosa ma non solo. Una coincidenza questa, che come avremo modo di vedere più avanti non sembra del tutto casuale. Del resto, quelle concessioni assumevano un significato ed una portata maggiori proprio alla luce degli accordi dell’undici febbraio 1929, ai quali si giunse dopo una lunga e complessa trattativa. Gli articoli del documento riguardanti la scuola erano il 5, il 35 e il 36: essi regolavano rispettivamente il reclutamento dei docenti di religione, l’esame di Stato per gli Istituti religiosi e l’insegnamento della religione in senso stretto. Vi erano poi gli articoli 37, 38 e 43 che avevano attinenza con la scuola e l’organizzazione della gioventù. Sulla base del Concordato l’insegnamento religioso, già introdotto nelle scuole elementari nel 1923, venne esteso alle secondarie nel 1930. Ma va ricordato che il R.D. del 3aprile 1924, n.965, aveva previsto tale insegnamento, come facoltativo, nelle scuole Complementari e negli Istituti Magistrali; la circolare n.95 del 25 novembre 1926 aveva poi esteso, tale facoltà, a tutte le scuole secondarie[8]. Anche l’esame di Stato veniva ulteriormente collegato, grazie ai Patti, con lo sviluppo e gli interessi della scuola privata, in quanto, reso meno selettivo, si trovò suo naturale alleato e contribuì a sviluppare l’istituto della parificazione che, nel 1942, si trasformò in ‘riconoscimento legale’ degli Istituti privati.
Ma l’idillio Chiesa – Fascismo, per i motivi che abbiamo in parte accennato, era destinato ad avere, almeno ufficiosamente, una breve durata: già la trasformazione del Ministrero della Pubblica Istruzione in Ministero dell’Educazione Nazionale, alcuni mesi dopo i Patti Lateranensi, rimise in campo la questione del monopolio statale sulle direttive da dare all’istruzione scolastica. Si trattava più chiaramente di una ulteriore tappa di quella fascistizzazione della scuola che passava necessariamente anche attraverso ritocchi ed aggiustamenti all’impianto generale della riforma Gentile e che era il vero fine ultimo del governo Mussolini. La fragilità della ‘diarchia educativa’ si rivelerà dunque ben presto, non potendo la Chiesa tollerare alcuna sostanziale modifica al suo magistero. L’anno del Concordato non è ancora trascorso quando l’enciclica Divini Illius Magistri (31 dicembre 1929), risponde direttamente all’equazione, tutta idealista, fatta dal Fascismo, tra istruzione ed educazione, affermando la più assoluta intransigenza per quanto riguarda le finalità essenzialmente religiose dell’educazione e condannando la scuola laica.
Gli episodi segnalati non sono che la parte più evidente di un disagio concreto che Chiesa cattolica e Stato fascista tendono a manifestare, con sempre maggiore frequenza ed asprezza, nei rispettivi ambiti; tuttavia, per ragioni di convenienza politica, i rapporti tra Italia e Santa Sede, fino al 1938, anno di emanazione delle leggi razziali, furono in complesso ‘tolleranti’. A riprova di ciò si può tenere presente l’enciclica Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931), seguita al provvedimento di scioglimento della Azione Cattolica da parte delle autorità governative, nella quale nonostante si deplori l’ingratitudine, verso l’istituzione religiosa, da parte del Regime, si tenta di mantenere aperto il dialogo accettando, con la formula , il giuramento di fedeltà dei piccoli balilla alla causa fascista.
Và tenuto presente del resto, come ha rilevato Tina Tomasi, che l’accordo tra Stato e Chiesa, in particolare sul piano educativo, non riposava solo su motivi tattici di pura convenienza politica,
<< ma anche sulla convergenza di alcuni princìpi fondamentali della pedagogia cattolica e di quella fascista, a cominciare dalla convinzione che educare significa guidare dall’alto, comunicare verità prestabilite. Il Fascismo mutua inoltre da Gentile alcune idee gradite alla Chiesa, quali l’assunzione della educazione religiosa come efficace antidoto al materialismo, cioè alle ideologie sovversive, la predilezione per i contenuti letterairi retorici, la diffidenza verso il pensiero scientifico, l’avversione alla coeducazione in vista della diversa destinazione sociale della donna, il rifiuto della pedagogia straniera impregnata di laicismo democratico>>.
LE POSIZIONI DI GENTILE
Gentile aveva partecipato al dibattito tra la stampa fascista e quella cattolica, a proposito della ‘Questione romana’, fin dall’autunno del 1927. Ma le sue posizioni di intransigenza circa le prerogative dello Stato e della sua autonomia sembrano essere inficiate su due fronti: da una parte dalle sue personali responsabilità nell’avere aperto, con la sua opera teorica e pratica, un varco alle richieste del mondo cattolico di intevenire nei vari campi della vita pubblica; dall’altra dalla presenza, all’interno del suo pensiero educativo, di contraddizioni, comuni anche a tutto l’idealismo e che Remo Fornaca ha così riassunto:
<<confusione tra religione e religiosità; attribuzione di un’anima religiosa ai bambini e ai ceti popolari; convinzione che per i bambini e per i ceti popolari è impossibile e controproducente un comportamento etico a matrice laica; scelta istituzionale della Chiesa cattolica, sia come garante dell’insegnamento sia come detentrice del messaggio cristiano, ivi compreso il riconoscimento alle gerarchie ecclesiastiche del diritto-dovere di scegliere gli inseganti, i contenuti, i metodi di insegnamento ed i testi. A parte la collocazione dell’atteggiamento religioso, resta il principio che la filosofia e quindi la pedagogia idealistica hanno una matrice teologica ,metafisica e quando scendono sul piano istitutzionale, anche religioso, rivelano il proprio conservatorismo>>
Sulla base di queste premesse, possiamo dire che <<L’Osservatore Romano>> aveva buon gioco nel rimproverare a Gentile di avere dimenticato le sue posizioni non certo ostili verso l’istruzione privata e di essere stato l’assertore convinto della libertà della scuola in Italia, nonché il fautore della battaglia contro il falso principio ‘liberalesco’ del laicismo.
Da un analisi delle posizioni di Gentile sul tema in questione e da una loro successiva storicizzazione emerge in questo senso, abbastanza chiaramente, una linea oscillante tra un presunto laicismo intransigente ed il riconoscimento di una religiosità di tipo dogmatico; una linea di condotta che appare strettamente legata alla esigenza di affermare, sia sul piano teorico che su quello pratico, le tesi dell’Attualismo. Una data obbligata per cominciare a seguire questo percorso gentiliano è il settembre del 1907, periodo in cui si svolge il Congresso della FNISM dove Gentile si schiera, fatto non secondario, lui da solo, contro quella concezione di scuola laica, di stampo positivista, che prevarrà nelle tesi finali del Congresso. Così Gentile sintetizzava, in quella sede, la sua idea di laicità:
<<[…] si afferma che lo Stato oggi deve essere laico; che è come dire al solito non legato a una forma di religione: separato dalla religione […]. Lo Stato laico, che separandosi dalla religione nega la religione, non riesce a vuotarsi di una sua interna religiosità […]. Lo Stato si laicizza diventando fine a sè stesso […] e fine a sè stesso non può diventare negando ogni fine, bensì soltanto affermando sè come fine; sè ripeto come un chè di assoluto dotato di valore divino: divinizzandosi […] e però non potendo più riconoscere una istituzione che non essendo esso, lo Stato, tuttavia professi di rappresentare il divino>>.
È l’inizio dell’equivoco. Ma Gentile ha davanti a sè un chiaro programma d’azione: con il Positivismo ormai in crisi, l’attenuazione del e l’inizio del riavvicinamento dei cattolici alla vita politica che sfocerà nel Patto Gentiloni, il Filosofo vede nell’appoggio alla tradizione del cattolicesimo moderato e clericale una strada da percorrere per favorire l’abbattimento, innanzitutto a livello filosofico-culturale e quindi, dal suo punto di vista, educativo, del sistema liberal-riformista a direzione prevalentemente giolittina, la sconfitta del quale potrà ridare vitalità a quel ‘sano conservatorismo’, tanto caro a Gentile, che sul piano politico si concretizzerà con la celebrazione dello Stato etico e l’adesione al Fascismo, mentre sul piano educativo giustificherà la formula .
Sono proprio gli anni dal 1906 al 1912 (in cui la produzione pedagogica si intensifica) a presentare il Gentile banditore entusiasta del rinnovamento della scuola italiana; ma al tempo stesso è da notare come, sempre in questi anni, quell’entusiasmo si lega alla adesione esplicita ai princìpi del cattolicesimo tradizionalista contro le idee ‘eversive’ del Modernismo[17]; e ciò fornisce un ulteriore indizio delle mire del progetto gentiliano. L’esperienza della Prima Guerra Mondiale e il dibattito-scontro tra neutralisti ed interventisti offrono, in questo senso, un momento di ulteriore svolta per analizzare le posizioni di Gentile ed il suo percorso speculare al programma che si è prefissato. Lo Stato che è andato teorizzando con la sua quasi ventennale riforma pedagogica è quella organizzazione caratterizzata da una moralità intensa, quella moralità della filosofia che non può tollerare ovviamente, per il suo stesso integralismo culturale, l’azione della Chiesa. Il 1918 è stato un anno significativo dal punto di vista della riforma della scuola di cui, Gentile, và fin d’ora elaborando i contenuti. Se egli sente sempre più intensamente questo suo compito, non sa rinunciare, d’altro canto, a mantenere un dialogo aperto e mediato con la Chiesa, che pure rappresenta ancora un valido punto di appoggio contro il laicismo agnostico ed estremista dei liberali e dei socialisti. In questa prospettiva si può spiegare la distanza tra le posizioni assunte nel biennio 1918-1919 e quelle di appena un anno dopo.
Nel ’18, ancora fresco lo scontro con le gerarchie ecclesiastiche sul significato della guerra e sul ruolo del pacifismo, Gentile scrive che
Ancora nel 1919, a proposito del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, Gentile auspica decisamente la non risoluzione della ‘Questione Romana’ e scrive:
Nel giugno 1920 intanto, Benedetto Croce viene nominato ministro della pubblica istruzione nell’ultimo ministero Giolitti. E’ questa la grande occasione per saggiare l’energia del gruppo di studiosi vicini a Gentile; più che per andare fino in fondo, per preparare il terreno. Il tentativo di riforma scolastica di Croce, che verrà interrotto dalla caduta del governo, tiene quasi sempre presente quelli che sono gli obiettivi del suo amico-rivale e del gruppo idealista (a cominciare da Ernesto Codignola e Giuseppe Lombardo Radice). È in questo periodo che inizia la messa in atto di quello che è stato definito, non a torto, un programma di ‘teocrazia laica’, che ben si adatta alla enunciazione della teoria dello Stato etico. Su questa strada si avrà l’incontro di Gentile con il Fascismo, che egli tenterà di utilizzare per <>[21] e che lo porterà la sua laicità di elementi ancora più ambigui, nel tentativo di conciliare la sua idea di religione con quella del Cattolicesimo.
Dal punto di vista della teoria educativa gli anni Venti sono gli anni in cui Gentile nello sforzo di affermare definitivamente le ragioni dell’Attualismo in campo politico e scolastico finisce per enunciare e consolidare, non solo con la Riforma, tutte quelle posizioni che il Fascismo da una parte e la Chiesa cattolica dall’altra, utilizzeranno per giungere alla stesura e alla legittimazione del Concordato e poi per emarginare il Filosofo siciliano dalla scena culturale ed educativa.
Anticipando, di circa un decennio, le giustificazioni che Giuseppe Bottai, a nome del Fascismo, addurrà per spiegare il perché la religione insegnata nelle scuole dovesse essere quella cattolica e contraddicendo le posizioni espresse in precedenza, nel 1920, Gentile scrive:
Ancora nel 1923, quasi a voler rafforzare questa tesi in concomitanza con l’approvazione della Riforma, egli tornerà sull’argomento per spiegare che
L’adesione al Fascismo, sempre nel ’23, segnava un’altra novità nel percorso ideologico e riformatore di Gentile, il quale vedeva nel governo Mussolini un nuovo ed ulteriore strumento per realizzare concretamente il suo modello di Stato; uno Stato che, come si è detto, rappresentasse la mediazione tra il momento logico-gnoseologico e quello pedagogico-politico della sua dottrina. E quando a partire dal 1925, proprio in coincidenza dei primi tentativi di dialogo tra la Chiesa ed il Fascismo, si moltiplicano gli attacchi alla Riforma della scuola per cercare di modificarne i contenuti meno graditi al mondo cattolico ma oramai anche al Regime, Gentile si accorge in modo evidente della necessità di evitare che la politica di Mussolini si colori troppo di clericalismo. In modo particolare le sue preuccupazioni sembrano riguardare un certo clima che si va creando intorno all’Attualismo il quale, soprattutto a causa dei progressivi attacchi da parte cattolica, veniva sempre più presentato come un reale ostacolo alla ‘conciliazione’ tra Italia e Vaticano; di qui l’invito pressante e mal celato al capo del governo di portare avanti, parallelamente all’azione diplomatica, una trasformazione della cultura italiana; la qual cosa equivaleva ad abbandonare la filosofia attualista al suo destino.
Sul piano educativo, inoltre, aggiungiamo noi, l’Idealismo era negatore di quella trascendenza di stampo Neo-scolastico tanto cara ai pedagogisti cattolici contemporanei di Gentile. Ma questa esigenza di sottrarre il Fascismo all’influenza della Chiesa non sfociava, in lui, nella affermazione risoluta e inequivoca del vero significato e dei veri compiti dello Stato laico; ma piuttosto, accentuando il legame tra politica e religione, esaltava, sul piano pedagogico, l’aspetto che potremmo definire di ‘integralismo autoritario’ della sua dottrina pedagogica:
Il ‘rischio’ della Conciliazione mette sempre più in primo piano, per Gentile, la necessità di una maggiore sottolineatura del significato e del ruolo dello Stato etico, unitamente alla convinzione che
Ma questa continua mediazione tra lo spirito laico e quello religioso, tra la concezione dello Stato come ‘assoluto’ e la validità del sentimento religioso ‘particolare’ come condizione inesauribile dello spirito umano, dimostra la consapevolezza di Gentile nel ritenere i tempi non ancora maturi per una rottura definitiva con il Cattolicesimo e finisce per dare coloriture ancora più ambigue al suo pensiero:
<<l’autorità dello Stato – scrive nel 1927 – non viene a patti, non transige, non divide il suo campo con altri princìpi morali o religiosi, che possano interferire nella coscienza […]. Di quì il carattere squisitamente politico dei rapporti tra lo Stato fascista e la Chiesa. Lo Stato fascista italiano […] o non è religioso o è cattolico […]; religioso non può non essere […] e cattolici non si è se non vivendo nella Chiesa e sotto la sua disciplina. Dunque necessità per lo Stato fascista di riconoscere l’autorità religiosa della Chiesa; necessità politica, riconoscimento politico ai fini della realizzazione dello stesso Stato>>.
L’EPILOGO
L’attuazione concreta del Concordato poneva fine all’ideale gentiliano della rifoma politico-religiosa della società italiana e metteva di conseguenza lo stesso Gentile nella impossibilità di realizzare, tramite il Fascismo, il suo progetto. Il 1929 segnava dunque, per l’Attaulismo in generale, l’inizio di un declino ideologico che aveva tra le sue cause concrete proprio la volontà del governo italiano di ristabilire rapporti amichevoli con la Chiesa; la critica all’Attualismo da parte della cultura cattolica, se si eccettuano i primi anni di dittatura del Fascismo, nei quali vi era stato un deciso appoggio alla politica di Gentile, diventa sempre più serrata man mano che in Vaticano ci si rende conto della volontà di Mussolini di arrivare alla Conciliazione.
D’altro canto, in una prospettiva più ampia, la crisi della filosofia di Gentile se da una parte, con il passare degli anni, creava spazio per l’intransigente ostilità dei cattolici verso la scuola di Stato, soprattutto così come egli l’aveva concepita, dall’altra aprirà nuove possibilità per quella corrente liberal-socialista della pedagogia, facente capo storicamente a Gaetano Salvemini, la quale fin dai tempi del ministero Croce aveva concretamente denunciato il pericolo della clericalizzazione della scuola. Gentile dal canto suo si sforzò di mascherare in qualche modo, con argomentazioni teoriche e con un estremo richiamo alla sua fiducia nel Fascismo, una chiara sconfitta culturale e politica ad un tempo. Proprio nel 1929, rinnegando tutte le sue precedenti convinzioni, arrivò a celebrare il riconoscimento del Regno d’Italia da parte del pontefice, e quindi il Concordato, come <<l’ultimo sigillo all’opera del Risorgimento e la definitiva instaurazione dei fondamenti morali dello Stato italiano nella coscienza degli italiani>>. Ma è nelle parole scritte due anni più tardi che, nonostante l’apparente fermezza e perentorietà, egli lascia cogliere la consapevolezza della sua sconfitta:
Alla luce delle concessioni che i Patti Lateranensi avevano fatto alla Chiesa cattolica e delle conseguenti trasformazioni nel sistema dell’istruzione pubblica, le parole appena riportate, appaiono per lo meno ingenue per un intellettuale e politico come Giovanni Gentile. In questo contesto e su queste basi, le posizioni espresse in Genesi e struttura della società (1943), l’opera considerata il suo testamento intellettuale perché scritta alla vigilia della suo assassinio e con il naufragio dell’esperienza fascista di fronte agli occhi, appaiono al tempo stesso come una dignitosa ri-affermazione delle proprie idee ed un tentativo, tardivo ma sincero, di ritrovare una coerenza nel proprio pensiero teoretico:
E quando, dunque, nel febbraio del 1943, durante l’intervento tenuto nell’aula Magna dell’Università di Firenze, afferma << io sono cristiano.Sono cristiano perché credo nella religione dello spirito. Ma voglio subito aggiungere a scanso di equivoci io sono cattolico>>, Gentile sembra essersi riconciliato con Gentile.