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Cultura

Per un confronto tra il “Poema Pedagogico” E “verso la vita” di Nikolaj V. Ekk

Anton S. Makarenko scrive il Poema pedagogico negli anni compresi tra il 1925 e il 1935, e lo pubblica, in edizione completa, nel 1937 1.

Prima di addentrarci in questo studio, ci è parso opportuno, innanzitutto, dare uno sguardo ad un ristretto campione di film (sia “documentari” che “film d’autore”) realizzati in URSS tra il 1917 e il 1931, nel tentativo di tracciare una mappa provvisoria delle varie “immagini” (sia nell’accezione di “traccia ontologica del reale”, sia in quella di “immaginazione del reale”) che questa cinematografia ha codificato intorno al cinema dell’infanzia 3.

Cinema- (Cultureducazione.it)

Tale lavoro, oltre a permetterci di “visualizzare” le realtà socio-culturali vissute da Makarenko e da lui descritte nel romanzo, dà la possibilità di delineare un primo quadro significativo del contesto cinematografico all’interno del quale è nato il film di Ekk (contesto che ha “naturalmente” agito in molteplici direzioni sul film) e con cui si è potuto confrontare, su diversi livelli, lo stesso Makarenko (sia nella sua opera educativa sia in quella letteraria).

L’analisi del corpus dei film ci ha permesso di individuare un cospicuo numero di sequenze, che sono state, poi, opportunamente classificate e raggruppate in alcune categorie tematiche 4.

Il primo gruppo, “i bambini e la rivoluzione”, comprende riprese documentarie realizzate tra il 1917 e il 1918 5. Scopo di chi filma è quello di documentare i cortei di protesta che sfilano per le strade di Pietroburgo e Mosca, nei mesi compresi tra la rivoluzione di febbraio e quella d’ottobre. Le riprese sono realizzate impiegando campi cinematografici abbastanza larghi (si va dal Campo Lunghissimo al Campo Medio). Specialmente nei filmati riguardanti il periodo compreso tra febbraio e maggio, i bambini entrano in campo per caso.

Ci vengono mostrati, talune volte, tra la folla dei manifestanti; altre volte fermi, a gruppi, ai margini della strada mentre guardano sfilare alcuni cortei di protesta. In quest’ultimo caso, quando i bambini (o ragazzi) si accorgono della presenza della macchina da presa, guardano verso l’obiettivo, e fanno di tutto per farsi notare (come del resto fanno anche alcuni adulti). I bambini si intravedono, anche, all’interno di un gruppo di persone, mentre stendono le mani per prendere dei volantini distribuiti da un agitatore.

Nei giorni della rivoluzione d’ottobre vi sono delle riprese che mostrano più attenzione al nostro soggetto (le inquadrature sono più ravvicinate): bambini e ragazzi che, camminando per strada, si fermano a guardare alcuni manifesti (che incitano alla rivolta) appena attaccati su un muro.

Bambini (pochi, uno o due) tra i soldati dell’Armata rossa, vicino ad alcuni carri armati; bambini che raccolgono volantini lanciati da un’auto in corsa; un bambino, vestito con divisa militare, che viene lanciato in aria (quasi fosse una mascotte) da un gruppo di soldati (il filmato è stato realizzato nei giorni immediatamente successivi alla pace con la Germania); un ragazzo che partecipa al servizio d’ordine di un corteo. Tutti i bambini e i ragazzi che si vedono sono ben nutriti e adeguatamente vestiti, e dall’abbigliamento si può dedurre che appartengono a diverse classi e tipologie sociali.

Il secondo gruppo, “i bambini, la fame, e la carestia”, include riprese documentarie realizzate tra il 1917 e il 1922 (comprende, perciò, il periodo della guerra civile e della carestia che ha colpito l’Unione Sovietica nel 1921-1922) 6. Questa volta, le immagini dei bambini sono molto più numerose e “toccanti”. Quelle riguardanti gli anni compresi tra il 1917 e il 1920 mostrano bambini che palesemente soffrono la fame, e che si aggirano per le strade delle città in compagnia di adulti (molto spesso sono con la propria madre). Bambini di ogni età, miseri e indigenti, ma ancora “coperti di carne e di vestiti”. Quelle del 1922 sono più tragiche.

Questa volta i bambini, inquadratati singolarmente o in gruppo (non vi sono mai adulti accanto a loro) sono i protagonisti assoluti. L’operatore li inquadra da vicino, con campi cinematografici stretti (si va dal Campo Medio alla Mezza Figura), perché li vuole mostrare. Bambini affamati e scheletrici che cercano di trovare qualcosa da mangiare per le strade, tra i rifiuti.

Bambini sfiniti, ridotti a pelle e ossa, ormai moribondi, seduti per terra, con la testa reclinata e poggiata contro un palo. Bambini morti. Questa volta la macchina da presa ha cercato volutamente i bambini per esibirli, per mostrarli non solo all’Unione Sovietica ma soprattutto al mondo. Infatti, probabilmente, questi filmati sono stati realizzati per far conoscere all’estero le tragiche condizioni di vita della popolazione sovietica durante la carestia 7.

Nel gruppo denominato “i besprizorniki” abbiamo sia riprese documentarie, realizzate da anonimi cineoperatori, che sequenze tratte da documentari d’autore 8. L’arco di tempo abbracciato è relativamente ampio, e va dal 1921 al 1929 9. Gli spezzoni più interessanti sono quelli databili intorno al 1923. Essi, con ogni probabilità, appartengono al documentario Besprizòrnyje realizzato da V. Karin nel 1923 nei dintorni di Mosca per conto della Commissione Regionale di Aiuto ai Bambini Abbandonati.

Il primo insieme di inquadrature ci fa vedere tre capannelli di besprizorniki che, spavaldi e sicuri di se stessi, si lasciano riprendere (o piuttosto posano) in alcuni loro tipici atteggiamenti: mentre fumano, giocano a carte, e scherzano tra loro. Indossano dei vestiti sporchi e logori: pantaloni un po’ larghi, giubbotti, giacche o lunghi cappotti, berretti portati sulle ventitré. È interessante notare che l’iconografia di questi besprizorniki la ritroviamo quasi identica nella prima parte di Verso la vita. Forse queste riprese furono utilizzate da Ekk per documentarsi sulla vita dei ragazzi abbandonati.

Un’altra serie di sequenze mostra moltissimi bambini e ragazzi nei pressi di un convoglio ferroviario, fermo sui binari in aperta campagna. Intorno a loro vi sono degli adulti (forse membri della stessa Commissione regionale, sopra citata) che li sorvegliano e li assistono. Gli uomini, dopo aver distribuito il rancio ai bambini, li aiutano a salire su un camion che li trasporta all’interno di un cortile (una Comune di lavoro?).

Qui, dopo essere stati sottoposti a visita medica, ed aver subito la rasatura dei capelli, prendono posto intorno a grandi tavole imbandite, ed iniziano a consumare un pranzo caldo e abbondante. La stragrande maggioranza dei bambini e dei ragazzi che vengono inquadrati non mostrano segni di sofferenza o di fame; sono spesso sorridenti, e pieni di vitalità.

Gli ultimi due segmenti del gruppo provengono dal film di Vertov, L’uomo con la macchina da presa, realizzato nel 1929. Essi dimostrano che, alla fine degli anni Venti, esisteva ancora il problema dei besprizorniki. Il modo in cui l’immagine di questi derelitti è trattata, sembra suggerire che i ragazzi abbandonati erano un elemento “caratteristico” e “tipico” del panorama urbano delle grandi città sovietiche.

Nell’economia del documentario la loro comparsa è molto limitata (un totale di circa trentasei secondi). Si vedono solo all’inizio del film, quando la città si sveglia (è mostrato un besprizornik che dorme su un cassonetto della spazzatura, e un altro sdraiato per terra mentre si sveglia e guarda sorridente la macchina da presa).

Passando dal gruppo dei film documentari a quelli di finzione, il caso più interessante ci è sembrato quello di Ejzenstejn. Infatti, nei suoi tre film visionati vi è una presenza rilevante e attiva (dal punto di vista narrativo e drammatico) dei bambini e dei ragazzi.

In Sciopero (per una durata totale di otto minuti e mezzo, circa) i bambini sono presenti dall’inizio alla fine. Sono i figli di quegli operai che scendono in sciopero per protestare contro la morte di un loro compagno. Ejzenstejn ha colto i bambini in due momenti essenziali della loro esistenza: il gioco, e la vita in famiglia. Interessante è la sequenza in cui sono messi in scena alcuni bambini che, imitando ciò che hanno visto fare poco prima dagli adulti, giocano alla “rivolta contro i padroni delle fabbriche”: i fanciulli imparano la rivoluzione giocando.

Alla luce di una certa concezione marxista della vita sociale, è messo in evidenza il legame di dipendenza del rapporto figlio-genitore (colto sempre nel suo dinamico sviluppo) dalle condizioni materiali in cui il gruppo familiare viene a trovarsi.

Il rapporto tra adulto e bambino

Anche nella famiglia operaia, il rapporto tra l’adulto e il bambino è contraddittorio, e in alcune circostanze il fanciullo è quasi trattato come un oggetto. In un episodio del film, i genitori, a causa della situazione di indigenza in cui sono scivolati per il protrarsi dello sciopero, discutono e litigano tra loro, incuranti del figlio, e degli effetti deleteri che il loro agire produce su di lui (il bimbo singhiozza e si dispera).

Lo stesso ragazzino, qualche sequenza più avanti, diventa il soggetto inconsapevole di un atto di rivolta, nel momento in cui va a giocare sotto le zampe dei cavalli montati da soldati zaristi. Scoppiata la sommossa, mentre gli adulti fanno la loro guerra, il bambino ridiventa un oggetto dimenticato, messo da parte, lasciato solo e piangente ai bordi della strada.

Bambini- (Cultureducazione.it)

Nella nota sequenza finale, quella in cui si vedono i soldati a cavallo caricare gli operai fin sopra i ballatoi delle case, si ripete, con maggiore drammaticità, lo stesso schema. Sulle balconate vi sono alcuni bambini seduti che, ignari e incuranti dei fatti tragici che stanno accadendo, continuano a giocare in mezzo alla battaglia.

All’improvviso, poi, diventano, loro malgrado, i protagonisti della scena. Un soldato a cavallo afferra una di queste creature, impaurita e tremante, e la uccide, gettandola dal secondo piano, giù nel cortile. È chiaro l’effetto ottenuto: l’assoluta estraneità dei bambini alla vicenda, mette in evidenza, per contrasto, l’assoluta crudeltà dei soldati zaristi i quali uccidono degli innocenti indifesi. L’impatto emotivo sul pubblico è forte.

Nel film La corazzata Potëmkin, nella famosissima sequenza della scalinata d’Odessa vi sono moltissimi bambini, tanto che essa potrebbe essere ribattezzata “la scalinata dei bambini violati”. Dal neonato nella mitica carrozzella che scivola lungo i gradini dopo l’uccisione della propria madre; al bambino colpito dai soldati, che la madre, in segno di estrema protesta, porta in braccio (riecheggiando l’iconografia della Pietà) avanzando contro i militari assassini.

In Ottobre, si vede un solo bambino che compare nell’episodio finale, nella sequenza in cui si celebra l’assalto al Palazzo d’inverno. Questo film ci sembra quello in cui Ejzenstejn “esalta” maggiormente l’immagine dell’infanzia. Dal suo abbigliamento possiamo tranquillamente ipotizzare che il ragazzo è un besprizornik.

La prima volta che compare sullo schermo, è inquadrato mentre si intrufola tra le gambe di un soldato dell’Armata rossa, il quale se ne sta accovacciato dietro alcune barricate, in attesa del segnale per lanciare l’ultimo attacco alla residenza dello zar. Il besprizornik partecipa, con entusiasmo, a tutte le fasi del combattimento. Alla fine, si ritrova per caso, da solo, nella vasta sala del trono. Dopo un attimo di esitazione, felice e contento, si siede sul seggio dello zar. Intorno al bambino infuriano gli ultimi fuochi della battaglia, e il nuovo potere comunista è trionfalmente proclamato in tutto il mondo: lui, stanco per la battaglia sostenuta, si addormenta (in un gesto tipicamente infantile), sereno e appagato, sullo scanno reale.

Questo bambino, intrufolandosi quasi con prepotenza nelle immagini – e attraverso il montaggio, anche tra le immagini – della rappresentazione della rivoluzione (dominata, fino a quel momento dalle figure degli adulti), ne diventa il protagonista assoluto.

In qualche modo, qui, Ejzenstejn ci propone la rivincita e l’apoteosi non solo di quel bambino (e di quel tipo di bambino: un besprizornik) ma di tutti i bambini (compresi quelli che il cinema sovietico, come abbiamo visto, aveva variamente mostrato), che sono, come lo stesso regista sembra averci suggerito nei due precedenti film menzionati, inevitabilmente vittime, ma nello stesso tempo vincitori, di ogni rivoluzione. Quasi che Ejzenstejn volesse innalzare questo bambino povero e abbandonato, questo besprizornik, a vero vincitore del vecchio regime zarista, e ad artefice della neonata società comunista.

TRA MAKARENKO ED EKK. IL ROMANZO, IL FILM, LA PRIMA ETÀ DELL’“UOMO NUOVO”

La scelta di privilegiare, come già si è detto all’inizio dello scritto, il film di Ekk, Verso la vita, nell’analizzare il rapporto tra il Poema pedagogico di Makarenko e la produzione cinematografica sovietica, nasce dal fatto che i due testi hanno una struttura narrativa simile, e un numero elevato di motivi e di temi in comune. Ambedue raccontano una storia di ri-educazione (non solo nel senso di “educare-di-nuovo” degli individui “moralmente deficienti” per creare un uomo nuovo, ma anche di “reinvenzione” della stessa attività pedagogica e degli stessi educatori) nel segno della prospettiva, che, com’è noto, è l’idea centrale della proposta pedagogica makarenkiana.

Ciò porta ad ipotizzare l’esistenza di tutta una serie di influenze che l’uno ha esercitato sull’altro (anche se, allo stato attuale della ricerca, non è da escludere la possibilità dell’esistenza di altre fonti che, al di fuori del rapporto ipotizzato e in modo autonomo, abbiano agito su entrambi).

Tenendo conto della data d’uscita delle due opere 10, si può supporre che il regista Ekk (Verso la vita esce nel 1931) si sia ispirato all’attività pedagogica makarenkiana (quella che ci interessa inizia nel 1920), e dal canto suo Makarenko abbia avvertito le suggestioni del film nella fase di rifinitura della prima parte del suo romanzo (pubblicata nel 1932-34) e nel corso della stesura delle due parti successive (pubblicate nel 1937).

Si tratta allora di verificare tale ipotesi, sia ricorrendo a fonti esterne alle opere in questione, sia realizzando un confronto tra le strutture narrative dei due testi. L’indagine svolta non vuole, né può (visto che è ancora in corso), offrire una soluzione definitiva alla questione proposta, che anzi rimane ancora del tutto aperta; qui vengono semplicemente presentati alcuni elementi che sembrano avallare l’ipotesi di partenza, e offrire suggerimenti che potranno essere utilizzati in seguito per un’ulteriore avanzamento della ricerca.

Ekk, al suo primo lungometraggio 11, condusse, insieme ai collaboratori, un accurato lavoro preparatorio, sia dal punto di vista tecnico (questo è il primo lungometraggio sovietico concepito e scritto per essere realizzato con il sistema di ripresa sonora) 12, sia da quello del contenuto 13.

La trama della sceneggiatura definitiva (che poi sarà, più o meno, conservata anche nel film) «si basa su un fatto vero ed è ambientata nell’anno 1924, l’anno vale a dire della fondazione del centro di rieducazione Bolscevo compiuta da Progribienski, il quale raccolse in una chiesa abbandonata, nei dintorni di Mosca, un gruppo di ragazzi che avevano costituito una banda criminale che agiva nella stessa città […]» 14.

La lavorazione del film inizia nella primavera del 1930. La sceneggiatura, durante le riprese, subì parecchie rielaborazioni anche a causa del ricorso ad attori non professionisti. In particolar modo c’è da osservare che tutti i giovani interpreti (compreso il ragazzo che recita nel ruolo di Mustafà) erano veri e propri besprizorniki 15, in maggioranza ospiti (o ex ospiti) della Comune di Bolscevo (o Bolsev), più sopra citata 16.

La prima proiezione avvenne a Mosca nel giugno del 1931, ed ebbe subito un gran successo di pubblico. Successo in qualche modo calcolato, se si pensa che la casa di produzione che lo realizzò, la Mezrabpom-fil’m, aveva già da molto tempo elaborato una sua strategia produttiva in cui si tentava di coniugare, caso più unico che raro nell’Unione Sovietica di quel periodo, il contenuto ideologico e il rendimento finanziario, producendo delle opere cinematografiche che, in ogni caso, dovevano “attrarre il pubblico” 17.

Dal punto di vista stilistico esso si pone a metà strada tra la rivoluzione dei novatori (avviata subito dopo la rivoluzione d’ottobre) e la normalizzazione del successivo Realismo socialista (affermatosi nel 1935) 18. La critica ufficiale sovietica, anche se riconobbe al film molti meriti, gli mosse un’obiezione ideologica di fondo:

[…] Il soggetto è stato ben ideato e realizzato […]. Però nell’opera non ritroviamo quelle caratteristiche che rendono un film sovietico veramente importante […]. Il processo di rieducazione dei ragazzi abbandonati, ex assassini e ladri, così come lo trattano gli autori del film, avviene automaticamente, soltanto grazie al modo gentile con cui il loro rieducatore li tratta e grazie al contatto con gli strumenti del loro lavoro.

Il poter contare sull’appoggio di una personalità forte, effettivamente deforma molto la realtà di quanto avviene nei centri di rieducazione per ragazzi abbandonati nell’Unione Sovietica. Questo elemento allontana il film dalla realtà sovietica, poiché vengono smorzati quelle possibilità e quei metodi caratteristici della dittatura proletaria, che servono per la rieducazione di questi ragazzi e che riconducono tale problema a un semplice fenomeno sociale.

Verso la vita partecipò, nel 1932, alla prima Mostra Cinematografica di Venezia, dove fu molto apprezzato sia dal pubblico (che in un referendum, indetto alla fine della manifestazione, indicò Ekk come il regista che aveva “maggiormente convinto”) sia dagli addetti ai lavori, e dalla critica (italiana e internazionale) 20. In seguito esso fu distribuito in molti paesi europei e negli Stati Uniti 21.

Nei numerosissimi articoli dedicati al film, comparsi sui quotidiani italiani e stranieri in occasione della proiezione veneziana, non si fa alcun accenno al rapporto tra Ekk e Makarenko 22. Il primo riferimento, da noi rintracciato, risale al 1955, ed è contenuto nello scritto, già citato, di Cipriani:

Per Ekk si trattava […] di creare un’opera che non solo denunciasse in quali condizioni avevano vissuto migliaia di ragazzi, ma indicasse anche quale via di soluzione era stata scelta, desse soprattutto il senso nuovo delle affermazioni pedagogiche di Makarenko, rompesse la solita messe di pregiudizi intorno ai “giovani criminali”, cercando le cause di quel loro stato, ne rivelasse la realtà, additando la soluzione attraverso il rapporto con la nuova società sovietica basata sul lavoro di tutti, diretto al benessere di tutta la collettività.

Sostanzialmente tutti gli autori, da noi individuati nel corso della ricerca, che sottolineano il debito del regista verso l’educatore ucraino (non è stato trovato alcun contributo critico che sostenesse anche l’inverso), non portano prove concrete a sostegno della loro tesi, ma si basano sulla semplice “evidenza dei fatti” 24. In altre parole essi affermano che Ekk, dovendo realizzare un lungometraggio sulla rieducazione dei besprizorniki, “non poteva non ispirarsi” ai metodi e alla teoria di Makarenko, fondatore della nuova pedagogia sovietica.

Ciò è storicamente verosimile? Tutti i film prodotti in quel periodo in URSS erano sottoposti a rigidi e ripetuti controlli da parte di vari organi dello stato. Un’opera cinematografica che si fosse esplicitamente ispirata ad una “teoria eretica”, non sarebbe mai passata dalle maglie di questa censura.

C’è da chiedersi, innanzi tutto, quale fosse, tra il 1929 e il 1931, la fortuna di Makarenko nell’ambiente culturale, e presso i centri di potere sovietico.

Le relazioni con le autorità ufficiali ucraine preposte alla guida e al controllo delle attività scolastiche e pedagogiche erano state sempre difficili, e tra il 1927 e il 1928 questi rapporti arrivano alla rottura. Makarenko fu esonerato dalla carica di direttore della colonia “Gor’kij” e il suo metodo educativo fu giudicato “non sovietico” 25.

D’altra parte, però, A. Kaminski, afferma che le teorie del pedagogista ucraino furono rivalutate proprio a partire dalla svolta radicale che alcuni decreti del 1931, emanati dal Comitato Centrale del Partito, segnarono nel campo dell’istruzione:

Il ruolo di […] Makarenko nella pedagogia sovietica sta nel fatto che, senza contrapporsi alla linea generale del partito degli anni 1917-1931, egli interpretò questa linea diversamente da come l’interpretavano i vari Commissari della pubblica istruzione e, ciò nonostante, arrivò al punto che, a partire dal settembre 1931, i decreti del Comitato Centrale del Partito, in materia di educazione, cominciarono con forza sempre crescente, a insistere proprio sugli elementi già realizzati da Makarenko […]. In tal modo Makarenko, dopo il 1931, si è trovato nel centro della via maestra della pedagogia sovietica, segnata dal Comitato Centrale, e per questa ragione, d’anno in anno, ne è diventato l’interprete sempre più competente

Se ciò è vero, si può supporre che, già prima del 1931 (tra il 1928-1930), la sua pratica pedagogica fosse “apprezzata” almeno da una parte dell’establishment culturale e politico dell’Unione Sovietica.

Il film di Ekk, come già ricordato, fu realizzato tra la primavera del 1930 e quella dell’anno successivo. Potrebbe, perciò, essere plausibile che gli sceneggiatori e il regista, benché non l’abbiano dichiarato ufficialmente, si siano “ispirati” al lavoro pedagogico (e forse anche a quello letterario) di Makarenko.

Ma chi potrebbero essere questi estimatori così influenti? Almeno due: Maksim Gor’kij, e i cekisti ucraini 

Gor’kij e Makarenko erano in contatto epistolare fin dal 1925 28. I due, però, si conobbero personalmente solo nel 1928, quando, il famoso scrittore sovietico, ritornato in patria, si recò a Kurjaz per visitare la colonia a lui dedicata 29. Nello stesso anno, Makarenko gli comunicò di essere impegnato nella stesura del Poema. Gor’kij, che lo aveva sempre incoraggiato a perseverare nelle sue idee pedagogiche e a divulgarle, s’impegnò nella revisione del manoscritto, e, nel 1932, ne pubblica la prima parte, a puntate, sulla sua rivista, “Al’manach”.

I legami di Gor’kij con il cinema furono, come si sa, vari ed estremamente interessanti. Qui ci basta accennare che egli non solo fu uno tra i primi intellettuali europei ad apprezzare, fin dal 1896, il nuovo mezzo d’espressione, e che molti suoi romanzi furono tradotti in film (sia in URSS, che all’estero) 30; ma soprattutto intervenne direttamente, in alcuni casi, nel dibattito sulla politica culturale della cinematografia sovietica.

Ma ciò che potrebbe concretamente deporre a favore di un effettivo intervento di Gor’kij, quale autorevole “intermediario” tra Ekk e l’opera pedagogica e letteraria di Makarenko, è un’altra circostanza: i rapporti che la sua compagna, Marija Andreeva, ebbe con la casa di produzione di Verso la vita.

Infatti, oltre ad aver favorito, nel 1924 (nella veste di direttrice del dipartimento cinematografico della delegazione commerciale sovietica a Berlino), la nascita della futura Mezarabpom-fil’m 31, la donna era la madre del regista e operatore Jurij Zeljabuzskij, che almeno fino al 1933 lavora ancora per la citata casa di produzione 32. Proprio loro due (l’Andreeva e suo figlio Zeljabuzskij) potrebbero essere il canale concreto attraverso cui l’opera di Makarenko, partendo da Gor’kij, giunse fino ad Ekk.

L’altro percorso ipotizzabile che rese possibile questo contatto, potrebbe passare, come si è già accennato, attraverso la Gepeú, la potente polizia politica sovietica.

I rapporti di Makarenko con i cekisti ucraini sono noti 33. L’apprezzamento che essi ebbero per l’opera e la teoria del pedagogo fu talmente incondizionato che lo chiamarono a dirigere, dal 1927 al 1935, una Comune di lavoro, dedicata a Dzerzinskij, da loro costruita e gestita.

Verso la vita, fu commissionato dal VCK (Comitato Straordinario per la Lotta alla Controrivoluzione e al Sabotaggio) 34. Un organismo statale che, anche se non coincideva con la Gepeú, era sicuramente in diretto rapporto con essa. In ogni caso, vi sono almeno altri due fatti che denunciano l’implicazione dei cekisti nel film.

La prima circostanza riguarda il soggiorno di Ekk (allo scopo di documentarsi nella fase di stesura della sceneggiatura e di preparazione delle riprese) presso una Comune di lavoro per ragazzi abbandonati della Gepeú 35. La seconda, concerne l’esplicito riferimento a Dzerzinskij (fondatore della Ceka e primo presidente della Commissione per i Problemi dei Giovani) contenuto nell’ultima sequenza del film 36.

Si potrebbe plausibilmente ipotizzare che i cekisti, nel commissionare un film sulla rieducazione dei besprizorniki, abbiano dato anche un “suggerimento” circa la “fonte teorica-pratica” cui riferirsi, indicando il pedagogo ucraino che stimavano e apprezzavano.

Una tenue prova del fatto che Makarenko conoscesse il film Verso la vita, l’abbiamo pur trovata. In una sua conversazione tenuta il 18 ottobre 1938 alla Casa di Cultura “S. Kirov” di Leningrado, parlando della “Colonia Gor’kij”, il pedagogista ucraino afferma che

[…] quando esiste una vera organizzazione della collettività infantile, si possono realizzare autentici prodigi. Alcuni ci segnalano il film Il cammino della vita e ci dicono: che ragazzi pericolosi e corrotti! Io obietterei: chi trova condizioni normali ed umane, diventa normale e umano il giorno dopo. Di che altra felicità c’è bisogno? Questa è la felicità! Così accade sempre in una collettività infantile bene strutturata. I ragazzi, senza eccezione, amano tutti la disciplina […] .

Anche se non è stato possibile controllare il testo sull’originale russo, l’opera cinematografica citata nel brano è sicuramente quella di Ekk. Dal brano qui riportato, sembrerebbe che Makarenko avesse conosciuto il film solo nel ’38, e unicamente per sentito dire. Ma, rileggendo attentamente lo scritto, esso può, anche se con molta cautela, essere interpretato diversamente: non solo egli difende il film, ma dimostra di averne anche una conoscenza diretta e approfondita. Infatti, dicendo: «[…] che ragazzi pericolosi e corrotti! Io obietterei: chi trova condizioni normali ed umane, diventa normale e umano il giorno dopo.

Di che altra felicità c’è bisogno? […]», Makarenko sintetizza perfettamente in due righe quella che è, come vedremo nelle pagine seguenti, un elemento portante della struttura narrativa di Verso la vita: mostrare come dei ragazzi “pericolosi e corrotti” possano diventare, anche il giorno dopo, “normali e umani”, solo se sono posti in condizioni “normali e umane” (concetto questo che poi è anche uno dei temi principali del Poema).

La pedagogia di Makarenko

Ma, dal punto di vista pedagogico, la vera molla creativa, presente nelle due opere, è quella della “prospettiva”. Makarenko, ad un certo punto del suo romanzo (nel capitolo “Ai piedi dell’Olimpo”) enuncia esplicitamente e lucidamente questo suo principio, presente (sotto varia forma) in tutto il Poema, dalla prima all’ultima pagina:

[…] L’uomo non può vivere se non vede davanti a sé qualcosa di piacevole da raggiungere. Il vero stimolo della vita umana è la gioia di domani. Nella tecnica pedagogica questa gioia di domani è il principale mezzo di lavoro […].

Ciò che siamo abituati ad apprezzare maggiormente nell’uomo sono la forza e la bellezza. Entrambe si formano nell’uomo unicamente in dipendenza del suo atteggiamento verso la prospettiva. L’uomo che stabilisce la propria condotta in base alla prospettiva più immediata, quella del pranzo di oggi, per intenderci, è l’uomo più debole.

Se egli si accontenta della sua sola prospettiva individuale, sia pure a lungo termine, può sì sembrare forte, ma non suscita in noi quella sensazione di bellezza e di valore della sua personalità. Quanto più è ampio il collettivo le cui prospettive il singolo fa proprie, tanto più questi appare bello e superiore.

Educare l’uomo significa educare in lui le linee di prospettiva sulle quali troverà la sua felicità di domani. Si potrebbe scrivere un’intera metodologia di questo fondamentale lavoro. Esso consiste nell’organizzare nuove prospettive, nell’utilizzare quelle già esistenti sostituendole gradualmente con altre di maggior pregio […]

Anche se nel film è assente questa esplicita enunciazione, nondimeno è molto evidente come tutto il lavoro di Sergeev è fondato sul tentativo di fornire, ai ragazzi abbandonati, una prospettiva collettiva.

Fin dall’inizio, nel dialogo già ricordato 64, Sergeev propone un nuovo metodo educativo: «Il correzionale è senza speranza. Vorrei tenere presente che questi ragazzi traviati sono sempre vissuti in mezzo la strada […]». E ancora oltre, quando parla ai ragazzi per convincerli a seguirlo nell’esperimento, dice:

Già! Qui si sta tanto bene! Tanto bene!… Eppure c’è di molto meglio. E, sì, sì… Dunque, vediamo… non dovrei dirvelo. È ancora un segreto. Ma stiamo organizzando una nuova fabbrica a Talbut. Chi vuol venire insieme con me?… Volontario… s’intende. Là noi lavoreremo […]. Però tutto è basato sulla fiducia. Chiaro?… Tutto sulla fiducia. Voi sarete liberi!… […] 65.

Al concetto di prospettiva s’intreccia, in modo quasi indissolubile, quello di stasi, in un processo dialettico, teoricamente senza fine. Infatti, la nuova linea di prospettiva che si pone dopo un periodo di stasi, deve essere, per forza di cose, ad un livello più alto del precedente.

Questo continuo avvicendarsi dei due opposti momenti crea un vertiginoso movimento a spirale che costituisce, a livello della forma del contenuto, uno dei meccanismi principali che fanno funzionare sia il film sia, soprattutto, il romanzo. A questa struttura dinamica del contenuto corrisponde, in perfetta sincronia, una omologa dialettica, messa in evidenza già nelle pagine precedenti, sul piano della forma del discorso narrativo: l’avvicendarsi dei movimenti di miglioramento da ottenere con quello di peggioramento prevedibile 66.

Dal punto di vista di una “pedagogia del buon senso”, ciò significa che, raggiunto un ottimo risultato con i propri “educandi”, non bisogna mai adagiarsi sugli allori, ma proseguire nella “lotta”. Basta poco (sia per una causa accidentale esterna, o per lo stesso processo d’assuefazione interna) perché le conquiste si traducano in stagnazione, e di conseguenza, da un punto di vista pedagogico, in una vera e propria regressione.

Nel film l’esempio più evidente è quello della sequenza in cui, a causa di una inondazione, i ragazzi restano senza lavoro e ricadono nei vecchi vizi del gioco, dell’alcool, della violenza gratuita.

Per risolvere la crisi vi è un’unica soluzione: alzare la posta in gioco, dare un’altra prospettiva a più largo respiro. Nel romanzo abbondano gli episodi in cui entra in gioco una tale dialettica 67, fin dall’inizio, fin dai pugni dati a Zadorov. Ma forse, l’episodio più altamente espressivo, il più “bello” e “spettacolare”, è quello concernente la sofferta decisione, da parte dei gor’kiani, di trasferirsi a Kurjaz. Infatti, questa deliberazione deve essere vista come una risposta altamente “prospettica” ad una grave situazione di crisi (cioè ad un periodo di stasi nella crescita) presente nel collettivo 68.

Se può essere lecito instaurare una certa equivalenza, almeno sul piano connotativo, tra l’episodio del trasferimento a Kurjaz e quello della costruzione della ferrovia, più sorprendente ancora è l’analogia che si può instaurare tra la fine del film e quella del romanzo.

Tra gli elementi narrativi che servono a strutturare il livello dell’intreccio di un racconto, l’esordio e l’epilogo sono sicuramente quelli maggiormente individualizzanti. Per cui, quando si individuano una coppia di testi in cui essi sono simili, può essere lecito ipotizzare una certa “parentela” tra i due.

L’epilogo del film coincide, come abbiamo già accennato, con la morte di Mustafà, con il suo sacrificio per salvare il lavoro della Comune. Il corpo del ragazzo senza vita, adagiato sulla parte anteriore di una locomotiva, fa il suo mesto ingresso nella stazione, dove una folla enorme è convenuta per celebrare l’inaugurazione della ferrovia costruita dai comunardi. A questa vista, mentre la locomotiva lancia nell’aria immobile dei fischi che sembrano dei “lamenti strazianti”, la banda musicale smette di suonare, e un angoscioso silenzio cade sugli astanti 69.

Il romanzo, fatte salve le dovute differenze, termina nello stesso modo, con la medesima messa in scena narrativa del film. Se il Poema racconta la storia della “Colonia Gor’kij”, allora esso termina all’inizio dell’ultimo capitolo, quando Makarenko comunica a Zurbin che è tutto finito, che lascia la Comune:

[…] Per tutta la lunghezza della banchina erano schierati gor’kiani e comunardi, brillavano gli strumenti delle due bande e le punte delle due bandiere. Sul binario vicino era pronto il locale per Ryzov […].

Mi passarono accanto di corsa, diretti ai vagoni, ragazzi con le trombe. E anche la nostra vecchia bandiera di seta ricamata. Un attimo dopo da tutti i finestrini del treno sporgevano mucchi di ragazzi e ragazze. Mi guardavano e gridavano:

– Anton Semënovic, salga nel nostro vagone […].

A quei tempi ero un uomo forte e riuscii a sorridere ai ragazzi. Quando poi mi si avvicinò Zurbin gli consegnai un foglio su cui stava scritto che a seguito della concessione di una “licenza” che mi era stata fatta, la direzione della colonia veniva affidata a lui.

Zurbin guardò il foglio con aria smarrita:

– Vuol dire… che è la fine?

– La fine, – dissi io.

– Ma… – cominciò Zurbin, ma il macchinista lo interruppe con il fischio della locomotiva, così non disse nulla, fece un gesto con la mano e se ne andò senza guardare i finestrini dei vagoni.

Il treno si mosse. I mucchi di ragazzi mi sfilarono davanti come in una festa. Mi gridavano “arrivederci” e scherzando alzavano il berretto con due dita. All’ultimo finestrino c’era Korotkov che mi salutò in silenzio, sorridendo.

Uscii sulla piazza. I comunardi mi aspettavano schierati. Diedi un ordine e ci avviammo attraverso la città verso la comune.

Come si può vedere, le similitudini narrative sono molte. Nel film si parla di un’enorme sciagura (la morte di Mustafà) che colpisce la Comune proprio nel giorno in cui, con l’inaugurazione della linea ferroviaria, si doveva celebrare, nella gioia e nella solennità, il raggiungimento di un traguardo per tanto tempo sperato.

Nel romanzo Makarenko comunica il suo “allontanamento” definitivo e irrevocabile dalla colonia (un evento che, in pratica, segnerà la fine dell’istituzione da lui diretta) 71 proprio nel giorno in cui Gor’kij va a visitare la Comune; avvenimento questo che lo stesso Makarenko aveva definito come la «più grande festa della nostra vita» 72. In ambedue i casi abbiamo, con le dovute differenze, una situazione di “riconoscimento ufficiale della Comune”, un giorno di “grande festa” rovinato da un evento nefasto e inaspettato 73.

Anche la messa in scena è la medesima: una stazione ferroviaria piena di ragazzi festanti; (vi è perfino la “stessa” banda musicale, e le “stesse” bandiere); un treno sbuffante (nel film, che arriva, nel romanzo, che parte) carico anch’esso di ragazzi; l’annuncio sulla banchina di una fine inaspettata e ineluttabile (la morte di Mustafà e le dimissioni di Makarenko); lo “stesso” fischio della locomotiva (quello del romanzo possiamo immaginarlo simile a quello del film: straziante e doloroso) che sancisce e sottolinea l’evento; un silenzio drammatico che cala sul set del racconto: nel film, in modo oggettivo, lo “vediamo” calare sugli astanti, nel romanzo lo “sentiamo” diffondersi sulla scena attraverso lo sguardo soggettivo di Makarenko (come personaggio, e come autore).

Redazione

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